L'ultimo viaggio


Immaginate di trovarvi su una piccola barca a remi, in una notte senza luna e senza stelle. Scorrete lenti sulle acque di un lago che ha le sembianze di un oceano di pece di cui non riuscite a mettere a fuoco i confini. Non siete soli sulla barca, ma nessuno parla. Intorno a voi c’è un silenzio assoluto, snervante. Avreste voglia di urlare, di immergere le braccia in acqua per vedere se è reale, ma non osate farlo. Respirate, prima piano, poi sempre più fragorosamente. Inspirate paura, espirate attesa. Non siete su una vera barca, ma state facendo un viaggio, nel reame più angusto dei vostri ricordi. È questo uno dei momenti più intensi del film L’ultimo viaggio, in cui il regista e sceneggiatore Nick Baker-Monteys ci dimostra quanto sia rischioso e semplice navigare liberamente fra ricordi e rimpianti, regalandoci dei personaggi vivi e meravigliosamente contraddittori. 



Sulla sfondo della guerra civile ucraina del 2014, si dipana l’ultimo viaggio del berlinese Eduard Leander (il film ha come titolo originale Leanders letzte Reise - L’ultimo viaggio dei Leander) che all’età di 92 anni decide di mettere fine alla sua lotta con se stesso, per partire in treno da Berlino a Kiev pur di trovare l’amore della sua vita da cui è separato da più di sessant’anni. Ad accompagnarlo sua nipote Adele e un ragazzo ucraino che ha conosciuto in viaggio (Lew). Inizia un percorso di scavo nella memoria del protagonista e in una pagina di storia che si tende a dimenticare: lo sterminio dei cosacchi in Unione Sovietica negli anni ’40. Un genocidio cui Eduard ha preso parte come comandante della Wehrmacht. Quando l’avanzata nazista verso l’Est sembrava ancora inarrestabile, i tedeschi con i loro alleati italiani, promisero ai cosacchi una terra in cui vivere liberi dal giogo sovietico, se gli avessero aiutati a sconfiggere il nemico comune. I cosacchi combatterono lealmente a fianco dei tedeschi, ma quando l’esercito nazista fu costretto a ritirarsi, i cosacchi furono abbandonati al loro destino. 


Eppure non è questo ricordo a animare gli incubi di Eduard, ma l’aver abbandonato il suo primo e unico amore. Amore cosacco che è riuscito a far nascondere prima di essere catturato dai sovietici, salvandole così la vita. Dopo aver passato sette anni in un Gulag, Eduard è libero nella sua Germania. Decide però di barattare l'amore in cambio di una vita ‘tranquilla’ con una moglie tedesca che non sarà mai in grado di amare. Di questa storia, sua nipote Adele non ha mai saputo nulla, perché Eduard l’ha conservata nella sua memoria per decenni, come punizione per non aver seguito l’unica strada che valesse la pena di seguire.  



Con atmosfere che ricordano Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer l'utilizzo continuo della camera a mano e di carrellate ipnotiche in presa diretta da treni e auto in movimento, Baker-Monteys risucchia lo spettatore nel cervello dei suoi protagonisti, regalandoci una rara opportunità di guardare dentro noi stessi provando a non rabbrividire.


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