Il fosso in cui cerca di attirarci Herman Koch

A distanza di sette anni da La cena, romanzo con cui lo scrittore olandese Herman Koch ha raggiunto la fama internazionale, esce in Italia Il fosso (edito da Neri Pozza – traduzione di Giorgio Testa), storia di un politico (Robert Walter), sindaco di Amsterdam, che, ossessionato dal probabile tradimento di sua moglie, inizia a dedicare alla vita privata l’attenzione che fino ad allora ha concesso solo alla carriera. Riesce così a uscire da se stesso e osservarsi mentre parla con il presidente francese in visita in Olanda, cerca di sabotare il progetto di una centrale eolica, ignora una minaccia di suicidio di un suo collaboratore scoperto a rubare, partecipa al funerale del collaboratore che si è ‘inopportunamente’ suicidato, cerca di dimostrarsi sempre il più arguto, spiritoso e affasciante fra gli uomini presenti in una sala. 


La continua maschera che deve indossare, non sembra però dargli lo stesso piacere di un tempo, ma ammettere che forse non gliene ha mai dato vorrebbe dire accettare che tutta la sua vita non ha avuto senso. E allora è molto meglio concentrarsi su sua moglie Sylvia, sulle sue intemperanze, sui suoi cambi di umore, sul suo essere così sicura di cosa sia ‘bene’ e ‘male’, comportamenti ‘tipici’ della sua meridionalità (Sylvia è originaria di un paese del sud Europa di cui Robert non ci vuole dire il nome, per non far capire verso chi si indirizzano i suoi pregiudizi). Inizia così un viaggio nella mente del protagonista, cui il lettore partecipa immedesimandosi subito con l’uomo che si nasconde dietro il sindaco di Amsterdam. Insicuro, egoista, capace di ignorare tutto e tutti pur di ritagliarsi dieci minuti di tranquillità, Robert incarna in sé tutte le nostre debolezze, senza vergognarsene, ma legittimandole, almeno nei dialoghi con se stesso.  



Narrato in prima persona da Herman Koch, Il fosso è una corsa sulle montagne russe dei ricordi del suo protagonista che inizia a scandagliare la propria vita per capire dove e se è iniziato l’inganno. Forse quando era con il suo migliore amico Bernard, «stesi su un prato con le teste una vicina all’altra e un filo d’erba fra i denti, a fissare il cielo blu. Ragazzini che prima cercavano di scoprire animali e altre forme nelle nuvole di passaggio, ma poi passavano a fantasticare su cosa c’era dietro quelle nuvole». Oppure quando, grazie all’insistenza di Bernard, ha incontrato sua moglie in un minuscolo paesino lontano da tutto, e lei lo ha scelto non perché se ne era innamorata, ma perché diverso da tutti gli altri uomini: debole, dolce, incapace di tradirla. O ancora quando, ascoltando suo padre che gli comunica che ha deciso di porre fine alla sua vita, Robert non è in grado di dire nulla per fermarlo. L’inganno è sempre presente, forse perché Robert stesso ne è l’incarnazione. E se Kock si è confrontato con il dilemma del flusso di coscienza (quando e per quanto tempo è possibile lasciarlo scorrere senza che il lettore perda l’orientamento) con esiti non sempre fluidi, dobbiamo dare il merito all’autore di aver costruito tutta la narrazione attorno a un unico interrogativo: Perché scendiamo a compromessi? Perché ignoriamo chi ci ama pur di non ammettere con non ci ama più? Perché la praticità prevale sull’etica? Perché democrazia e bellezza non possono andare d’accordo? Perché è necessaria una pesante dose di alcol per dire la verità? Perché fare la cosa giusta per se stessi è sbagliato per tutti gli altri? Tutte domande che si pone e ci pone il protagonista de Il fosso, non trovando mai una risposta soddisfacente, ricordandoci così che: «la più grande sfida che è stata posta a memoria d’uomo è il perché», sfida da cui nessuno di noi è esente. 


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