Chiamami col tuo nome: Ivory vs. Aciman


È come se James Ivory avesse usato inchiostro distillato nella nebbia padana per adattare sullo schermo il romanzo di André Aciman Chiamami col tuo nome.
Troverete lo stesso sguardo triste e complice che ci ha portato 24 anni fa nel mondo di Quel che resta del giorno. In quel caso Ivory era il regista e il libro in questione era del futuro premio Nobel Kazuo Ishiguro, con Chiamami col tuo nome il regista americano assume invece il ruolo di sceneggiatore nel nuovo film di Luca Guadagnino. Entrambe sono storie d’amore travagliato, in cui sono i piccoli gesti a diventare protagonisti della narrazione, soprattutto quelli negati o rubati per cui sentirsi subito in colpa. 


La pellicola di Guadagnino, girata in un nord Italia cristallizzato ai primi anni ’80, in un non luogo che si posiziona fra Crema e Bergamo, (la location del film è Villa Albergoni nelle campagne di Moscazzano) in cui la diversità culturale regna sovrana, sembra strizzare l’occhio all’ambientazione che scelse Bertolucci per Io ballo da sola. Lì eravamo fra le colline senesi, ma location a parte, i punti di contatto si affollano nella memoria dello spettatore. A cominciare dalla famiglia aperta, anzi apertissima, dove nazionalità, sessualità e letture si incrociano senza ostacolo alcuno, passando per bagni sensuali nelle vasche di pietra un tempo usato come abbeveratoi dove labbra e lingue si sfidano, mischiandosi con la stessa naturalezza dei fili d’erba in un prato. 


Guadagnino continua ad avere un tocco delicato, al limite del manierismo, senza mai sfociare (per fortuna) nel melodramma e i due attori sono perfetti nella parte, soprattutto il giovane Timothée Chalamet che interpreta Elio. Certo un dubbio di autenticità sorge spontaneo quando i genitori del giovane co-protagonista intercettano l’attenzione del figlio per lo statuario Oliver (ospite americano e studioso di filosofia interpretato da Armie Hammer), attenzione ampiamente ricambiata, affrettandosi a sostenerlo ed ad aiutarlo a comprendere e a valorizzare quella esperienza. Davvero esisteva questo tipo di famiglia illuminata nei primi anni ’80? Ed esistono oggi genitori così attenti a quello che provavo i loro figli da fare tabula rasa dei loro desideri e pre-giudizi? È una domanda che Guadagnino e Ivory non sembrano porsi, preferendo abbandonarsi alla malinconia per tutto quello che, se hai superato i venti e magari anche i quaranta anni, non hai provato perché bloccato dalle tue (e altrui) paure. 


Per chi ha letto il romanzo di Aciman e si trova, come il sottoscritto, a fare un immediato paragone fra libro e film, fa riflettere la scelta di James Ivory di eliminare completamente la voce narrante e la continua analisi che essa compie delle scelte del giovane Elio. Una coscienza sempre allerta, che svela al lettore ogni più piccolo retroscena dei turbamenti e delle ansie del giovane co-protagonista, esaltando le dolorose differenze fra pensato e agito. Se mantenere tutte le sfumature poteva essere difficile in una pellicola, eliminarle completamente trasforma la storia di Elio in quella di un amore adolescenziale, bypassando la forte passione, carnale e mentale che Elio prova per il suo Oliver e che risulta centrale nel romanzo. 




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