L’ingordigia di se stessi

Era il 2010 e Alessandro Baricco scriveva un articolo su La Repubblica datato 2026: «Ci crediate o no, questo articolo l'ho scritto nel luglio 2026, cioè fra sedici anni. Diciamo che mi son portato un po' avanti col lavoro. Prendetela così». Questo l’incipit invitava il lettore ad abbandonarsi alle abilità divinatorie di Baricco sulla lotta fra profondità e superficialità, che avrebbe visto, senza alcun dubbio, la seconda vittoriosa. 


Questa certezza, che oggi, ben prima del 2026, sembra essersi definitivamente compiuta, veniva presentata dal ‘preside’ della scuola Holden come naturale in una realtà in cui: «Viaggiamo velocemente fermandoci poco, ascoltiamo frammenti e mai tutto, scriviamo nei telefoni, non ci sposiamo per sempre, guardiamo il cinema senza più entrare nei cinema, ascoltiamo reading in rete invece che leggere i libri, facciamo lente code per mangiare al fast food, e tutto questo andare senza radici e senza peso genera una vita che ci deve apparire estremamente sensata e bella». Ritornavano in campo i suoi ‘barbari’, suoi perché anche lui sosteneva di farne parte, che surfeggiando su un’immensa biblioteca virtuale, foraggiata dalle loro stesse ‘superficiali’ e incontrollate (perché prive di verifica e a getto continuo) informazioni, avevano eliminato non solo l’approfondimento come valore, ma lo avevano depredato anche del senso che in esso ‘gli antichi’ riponevano, distinguendo fra bagliore effimero di una casuale e apparente conoscenza e faro luminoso di verità, basata su una continua verifica e messa in discussione delle certezze conquistate in anni di studio. 


Pochi giorni fa, a nove anni dalla data in cui l’autore di Novecento aveva profetizzato il crollo dell’ultimo totem del vecchio e polveroso mondo pre-barbari (la profondità), Jonathan Franzen, in un saggio sul Guardian, fa il punto a un anno esatto dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni per la presidenza degli USA. La situazione che l’autore de Le Correzioni dipinge parte da uno scoramento che vira presto nell’incredulità di chi si trova a contemplare uno stadio ulteriore della vittoria della superficialità: la creazione di un sistema auto-generato e personale di verità in cui, a partire dal Presidente Trump, fino al ‘comune’ twitteraio impazzito, chiunque può modificare a suo piacimento la realtà, trasformando desiderio in verità assoluta. 


L’ingordigia di se stessi è tale da diserbare ogni stimolo esterno, liquidandolo come falso, inutile o peggio noioso, perché porterebbe con sé la necessità di un approfondimento per verificarlo. E quindi niente ‘like’ per la nota dissonante, affidandoci all’algoritmo dei social (che tutto vede e tutto dispone) che, dopo un paio di incursioni fortuite di pensiero difforme nel nostro universo personale, ci blinderà in un sistema chiuso e gioiosamente auto-centrato in cui vivere, come direbbe Baricco: «l'emozione semplicemente illuminandola, e non riportandola alla luce». Il passaggio luminoso è così rapido da permetterci di ignorare tutto e il suo contrario a seconda di dove ci porterà il nostro piacere. Il problema è che, senza la difformità di pensiero, il nostro concetto di piacere sarà assai deludente, ma noi, grazie alla vittoria della superficialità, non ce ne accorgeremo.





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