Future Library: capsula del tempo per scrittori


Quattro scrittori intrappolati in una capsula del tempo. 
La capsula però non è un grosso bulbo metallico in cui sono stati rinchiusi i corpi degli scrittori per far vedere alle generazioni future come si vestivano i narratori del XXI secolo, ma un’entità organica in continua evoluzione, in cui gli autori (e soprattuto le loro storie) rimarranno nascosti e protetti per cento anni.



Non è l’incipit di un romanzo di fantascienza, ma ciò che sta accadendo in una foresta che ancora non esiste in Norvegia per mano di Kate Paterson. Tutto è iniziato nel 2014, quando Kate, artista scozzese che fa dell’interazione fra il pianeta Terra e l’uomo il fulcro delle sue opere, ha lanciato il progetto Future Library, quello che lei stessa ha definito: «un’opera d’arte che respira. Organica, vivente, capace di dispiegare la sua essenza per oltre 100 anni». La libreria che si propone di costruire la Paterson sarà pronta solo nel 2114, quando i mille alberi piantati nel 2014 a Nordmarka, l’immensa area naturale che circonda Oslo, saranno abbastanza grandi per essere tagliati e triturati, tramutandosi così nei cento libri che l’artista scozzese ha deciso di mettere a disposizione dei lettori del prossimo secolo. 


Ma quali autori scegliere? Il progetto Future Library prevede che venga designato uno scrittore all’anno, garantendo il più possibile la diversità culturale e stilistica degli autori, guardando all’attenzione che hanno dimostrato nelle loro opere e nella loro vita per i temi legati al rispetto e alla convivenza fra esseri umani, nonché al legame che questo equilibrio ha con l’ecosistema in cui viviamo. Fino a ora sono stati scelti quattro scrittori, già chiusi nella capsula del tempo con cui abbiamo iniziato questo post: Margaret Atwood, David Mitchell, Sjón e pochi giorni fa Elif Shafak. Più note al pubblico di lettori le battaglie ambientaliste dell’autrice canadese Margaret Atwood e gli slanci futuristici e futuribili dei suggestivi personaggi del britannico David Mitchell (autore fra gli altri dello sconfinato, immaginifico e necessario L'atlante delle nuvole), meno forse le poesie del scrittore islandese Sjón (nome d'arte di Sigurjón Birgir Sigurðsson), che gli appassionati della cantante Björk ricorderanno come l’autore di molte sue canzoni (tra cui I've Seen it All, tema del film di Lars von Trier Dancer in the dark) e le battaglie per libertà di espressione dell’autrice turca Elif Shafak, che come ha ricordato Kate Paterson: «lavora da tempo per dissolvere ogni tipo di barriera: culturale, geografiche, politica, idologica, religiosa e spirituale, abbracciando e impersonando una pluralità di voci». 



L’autrice de La bastarda di Istanbul e di Tre figlie di Eva (entrambe pubblicati in Italia da Rizzoli) ha rilasciato da poco un’intervista al Guardian in cui racconta la sua esperienza liberatoria nel prendere parte alla Future Library, riuscendo così a fare a meno di qualsiasi vincolo autore-lettore. Elif sa, come i suoi tre compagni di capsula, che non sarà più fra noi quando qualcuno potrà leggere la sua storia: «Scrivo per persone che non potrò mai incontrare e allo stesso tempo scrivo per me stessa. Non devo più pensare alla loro reazione, devo solo scrivere perché credo in ciò che sto facendo». E qui forse che si nasconde il lato meno evidente del progetto Future Library. Protetti dai ritmi lenti di una foresta in divenire e liberati dall’interconnessione forzata del nostro tempo, gli autori scelti per essere intrappolati in questa capsula del tempo potranno tentare l’impensabile: scrivere solo per il loro diletto. Alessandro Piperno gradirebbe, chissà che Kate Paterson non pensi a lui nei prossimi anni.



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