Zero K: come si sfugge alla morte secondo Don DeLillo

La notizia è del novembre scorso, ma con l’avvicinarsi della “K-date” (il 3 maggio 2016), sale l’agitazione fra gli adepti di Don DeLillo per il suo ultimo lavoro: Zero K. Un romanzo il cui protagonista, Ross Lockhart, tenta di sfidare la morte, finanziando un laboratorio scientifico dove si lavora all’animazione sospesa. 

In questo luogo che assomiglia a una base spaziale, scienziati al servizio di quell’1% della popolazione mondiale che controlla il 90% della ricchezza del pianeta, portano i corpi dei loro “ospiti” a basse temperature (il titolo del romanzo si riferisce allo zero Kelvin, lo zero assoluto, la temperatura più bassa che si possa ottenere in qualsiasi sistema macroscopico, pari a –273,15 °C). L'obiettivo è conservarli in uno stato di quiescenza a metà strada fra la vita e la morte fino a che la scienza e il denaro riuscirà a trovare una cura per il destino che incombe sulle loro teste. Così Lockhart, per salvare sua moglie dalla sclerosi multipla, è certo di superare l’ultimo bene che il denaro non poteva comprare: il tempo.
Don DeLillo
Questo l’impianto del nuovo romanzo di DeLillo che in molti critici hanno paragonato per intensità a Underworld, uno dei più grandi successi di pubblico e critica dell’autore americano di origine abruzzese, successo che ha aperto a DeLillo nel 1985 le porte del pantheon della letteratura nord americana, facendolo ricomprendere dal critico Harold Bloom nella stretta cerchia di autori viventi che lasceranno un segno nelle future generazioni di scrittori. Lista che comprende Roth, Pynchon e McCarthy, ma esclude autori come Jonathan Frenzen o Toni Morrison. E mentre alcuni hanno già avuto il privilegio di leggere un’anteprima di Zero K (Matteo Persivale per La Lettura), vivendo un’illuminazione fin dall’incipit del romanzo (“Tutti vogliono possedere la fine del mondo”), dal Guardian al Los Angeles Times, dal New Yorker alla piattaforma Goodreads, l’ansia degli “underworldiani” (tutti i gruppi di followers che si ripettino hanno un nome, non vedo perché quelli di uno scrittore debbano essere da meno rispetto a quelli di una band) cresce e circolano le prime citazioni: “We are born without choosing to be. Should we die in the same manner?” (Siamo nati senza aver scelto di esistere. Dovremmo morire nello stesso modo?) 

Domande che sembrano arrivare da un luogo in bianco e nero, dove la morte e un uomo giocano a scacchi, come se DeLillo, che in un’intervista con Karin Badt per l’Huffington Post Books ha dichiarato che tutti i suoi romanzi sono partiti da un’immagine precisa che ha cambiato la sua idea di realtà, avesse visto Il Settimo Sigillo di Bergman prima di mettersi a lavorare a questo romanzo. 


Domande sul significato della nostra esistenza e quindi anche sulla sua fine cui non ci aspettiamo di trovare risposta in Zero K, ma certo, come accade per la migliore letteratura, non ci permetteranno di addormentarci subito dopo aver scoperto se Ross Lockhart riuscirà nel suo intento, lasciandoci alle prese con i regali in forma di parole che ha confezionato per noi DeLillo. Regali di cui un underworldiano che si rispetti (parola di Jennifer Egan) non può fare a meno. 




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