Scuole di lettura: il libro e il multi-tasking.

Provate a digitare “scuola di scrittura” su Google: avrete l’imbarazzo della scelta. Dalla rinomata Holden di Baricco, alla storica Omero (creata nel 1988), fino al sistema integrato di laboratori e seminari minimum fax coordinati dalla coppia genialmente imperfetta formata da Carola Susani e Giordano Meacci. Senza contare il rigoroso schema didattico di Raul Montanari o l’intensa bottega di narrazione di Giulio Mozzi e Gabriele Dadati.
Provate ora a digitare “scuola di lettura” su Google. Molte meno pagine, vero? Da anni non si fa che ripetere che gli italiani sono un popolo di scrittori e non di lettori, che di lettori forti (chi legge almeno un libro al mese) ce ne sono sempre meno e che lo stato non investe nella cultura, ma cosa si fa per provare a invertire la tendenza? Se la politica negli ultimi anni è passata dall’apatia al disprezzo per la cultura, il trend delle vendite dei libri si è contratto anche a causa di una modifica sostanziale nel sistema di comunicazione interpersonale. Ogni italiano trascorre in media 2 ore e mezza al giorno sui social networks. E se riusciamo a cucinare, guardare la TV, far finta di ascoltare l’inquilino emotivo dei nostri affetti, mentre stiamo caricando su FB il nostro ultimo selfie, sfido chiunque a immergersi nella lettura di romanzo, riuscendo contemporaneamente a rispondere a una mail. Il libro pretende attenzione. In cambio ci offre “emoti-porte” che, al pari dell’armadio de Le cronache di Narnia o del binario 9 ¾ di Harry Potter, ci permettono di visitare universi a noi paralleli, cambiando carattere e personalità. Si tratta però di viaggi in solitaria, senza amici, stolker o sfuggenti lettori del nostro insoddisfatto ego. Non possiamo dire: “ho fatto questo e quello ed ecco la foto a dimostrarlo” a un popolo di presunti ascoltatori. In un libro dobbiamo essere noi lettori a metterci in ascolto. 


Il libro pretende una connessione dedicata in un mondo (Serra ci insegna) dove il parallelismo della multi–connessione è non solo la regola ma la necessità. E allora? Dobbiamo pensare che il racconto autobiografico di Vittorio Sermonti ne Il vizio di leggere (un dodicenne che per leggere Guerra e pace tutto di fila finge una febbre fulminante di sedici giorni) sia destinato a diventare un aneddoto incomprensibile alle generazioni future? Penso di no. L’alternanza fra multi-tasking e mono-tasking è non solo possibile, ma auspicabile, perché rappresenta quella fra conoscenza diffusa e approfondimento.
A pensarla così ci sono proprio le scuole di lettura, realtà che hanno creato dei piccoli universi paralleli al multi-tasking in cui spiegare che le “emoti-porte” dei libri possono apparire lente nel trasferire i dati di cui abbiamo bisogno per orientarci nella loro realtà virtuale, solo perché ci offrono la possibilità di leggere quei dati in modo diverso a seconda dello stato emotivo di chi con loro si connette e del personaggio che si decide di seguire. Le “emoti-porte” poi, senza preavviso, divengono a doppia via, consentendoci di disegnare tutti i particolari che il creatore della storia ha lasciato da parte.

A cominciare dal prossimo post (2 marzo 2014) scopriremo come funziona una scuola di lettura e quanto può essere utile anche per frequentare una scuola di scrittura, qualsiasi sia la vostra scelta. A domenica prossima.



Commenti

Post popolari in questo blog

Un giorno come questo di Peter Stamm

L’ansia di fare, sì, ma di chi è la colpa?

Nessuno, nemmeno la pioggia, ha così piccole mani