Il dubbio è politeista, almeno secondo Tabucchi.

Di Antonio Tabucchi mi sono infatuato in una notte di dolore, fisico e mentale. La ricordo perfettamente. Erano le quattro e dodici ed io vagavo da un lato all’altro di una stanza da letto con in mano un articolo che lo riguardava. Spaccato in due da un mal di denti che sembrava un grappolo di scosse elettriche che si arrampicavano sulla mia mandibola per poi lanciarsi alla conquista delle mie orbite, io fremevo e aspettavo.



Qualcuno aveva infilato nella mia testa una spada rovente e scavava. All’inizio le idee e i dubbi che mi proponeva Tabucchi sembravano liquefarsi al contatto con la lama del dolore, ma poi, un po’ per effetto degli antidolorifici assunti in dosi massicce, un po’ per quello strano stato di torpore cui la mancanza di sonno e il dolore intenso fanno arrivare, una strana sensazione si fece distinta e presente. Più che una sensazione, un bisogno. Il bisogno di un pezzo di carta, per fissare prima che svanissero gli effetti di quel dolore. L’intensità, i gesti, i rumori che avevo intorno. La carta diventava uno scottex emozionale da riporre nel mio cassetto delle storie possibili, così se un domani avessi dovuto creare un personaggio insonne con il mal di denti, avrei avuto un punto da cui partire.

Ecco, questa per me è la realtà parallela della scrittura. L’essere costantemente all’erta, come segugi di situazioni e sensazioni da immagazzinare, potenziare, sublimare o sacrificare, presi dall’ego che in ogni uomo che scrive diviene nuvola di gesta proprie (anche se sono altrui).





Di realtà parallela parla proprio Antonio Tabucchi nel saggio che riprende un suo incontro/intervista con Marco Alloni (Una realtà parallela. Dialogo con Antonio Tabucchi – edizioni ADV – 2008), una realtà che la letteratura non solo inventa, ma scopre, facendo vedere al lettore ciò che ha sempre avuto davanti agli occhi, ma che probabilmente non ha mai osservato da quello specifico punto di vista.

Il dialogo, di fatto monologo in libertà, che Tabucchi ci propone, è un viaggio fra le sue sinapsi e le sue certezze, costruite sui dubbi più saldi che ha potuto scovare. «Diffido di una certa letteratura che vorrebbe portare la verità, fra l’altro i risultati sono stati quasi sempre mediocri. La funzione della letteratura è insinuare dei dubbi […]» ci dice l’autore di Sostiene Pereira, Sogni di Sogni, Requiem (solo per citare alcuni fra i suoi lavori), ricordandoci che il dubbio è politeista e come tale nasce dalla messa in discussione della realtà che tutti vedono per crearne un’altra, parallela, che in anticipo rispetto all’altra, cerca di cambiarla. Questo cambiamento sarà però lento, perché la letteratura non corre i cento metri, la letteratura ha un altro passo, quello del maratoneta. Bisogna aspettare che la storia, il personaggio, il ritmo della realtà parallela che lo scrittore sta creando siano quelli giusti. E allora la pazienza diventa importante, pazienza che mal si lega con l’ego dello scrittore eppure ne diventa la vestale, insieme alla tenacia e al bisogno di rimanere con i propri scottex emozionali pronti ad assorbire un dolore che prima o poi, come diceva anche Peter Cameron, ci sarà utile.

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